Cerca
Close this search box.

Cookie Cutter: quando la perseveranza diventa arte, intervista a Stefano Guglielmana

Cookie Cutter

Qualche giorno fa ho avuto il piacere di parlare con Stefano Guglielmana, artista e animatore la cui creatività ha dato alla luce uno tra i giochi indie più esteticamente ispirati che abbia mai avuto la possibilità di provare. Cookie Cutter è frutto della combinazione tra follia e perseveranza, per un progetto che ha visto ben sei anni di sviluppo costellati da tutte quelle difficoltà che uno studio alle prime armi può trovarsi a dover affrontare, e che a breve arriverà su Nintendo Switch.

Entra nel Gruppo Telegram di PokéNext per essere subito aggiornato su tutte le novità e per commentarle con altri fan: https://t.me/pokenext

Il titolo rientra nel genere dei platform action con progressione da metroidvania, dotato di uno splendido comparto artistico realizzato completamente a mano e curato in ogni suo minimo dettaglio. Il gioco vive di contrasti, con una trama che punta tutto sull’amore e sulla vendetta, adornata da uno stile irriverente e strafottente che viene incarnato dalla protagonista Cherry e dall’ambiente distopico che la circonda, e nel quale è stata creata.

Stefano mi ha raccontato gli alti e i bassi, o bassissimi, che ha potuto raggiungere in quegli anni, ma non pentendosi mai di aver iniziato questo tipo di percorso, per quanto complesso possa essere stato arrivare alla fine. Ho deciso quindi di condividere la nostra chiacchierata per offrire a chiunque sia interessato a questo contesto, e non solo, una testimonianza da chi ci è passato mettendoci anima e corpo.

Cosa racconta Cookie Cutter?

La storia di Cookie Cutter parla di un Denzel, un androide che contiene al suo interno l’infuso di un’anima distillata di un essere umano deceduto, regolandone l’intelligenza artificiale. Un Denzel può imparare, provare empatia, immaginare, è molto simile ad un essere umano per alcuni punti di vista. Questa Denzel si chiama Cherry e viene costruita dalla scienziata più brillante del mondo di gioco, principalmente perché si annoiava, era sola e aveva bisogno di affetto.

Quando in un punto della storia lei viene arrestata e la protagonista viene fatta a pezzi dalla megacorporazione chiamata INFONET, iniziano finalmente le vicende. Cherry viene ricostruita da un meccanico chiamato Raz e inizia a cercare Shinji.

Non sa perché sia stata creata. Per amare Shinji? La ama davvero? Un Androide può realmente amare?  Questo era il primo layer con cui abbiamo costruito la storia, ed è quello più semplice, il “salva la principessa”. Poi abbiamo approfondito il contesto narrativo, specialmente basandoci sull’amore, per raccontare tutto il mondo che gira dietro alle vicende.

Quindi per esempio la creazione della megastruttura, questo pianeta fluttuante regolato dal void, un’energia aliena che lo fa continuamente evolvere e sviluppare. Abbiamo raccontato le razze di questo pianeta, la struttura sociale, abbiamo scritto tantissimo per il gioco. Talmente tanto che poi ci siamo resi conto in produzione che non avremmo mai potuto fare tutto, e infatti il gioco si ferma al primo terzo di quello che abbiamo scritto. C’era troppo da dire, tanti personaggi, le vicende si muovono in una maniera troppo estesa, possiamo prenderne una porzione. Allora abbiamo ridotto l’idea presentando solo una parte di questo viaggio, con una conclusione. La scrittura è stata fatta da Raffaele Romano e per anni abbiamo scritto di personaggi, situazioni, ma anche tutta la vicenda di questa protagonista.

In più sai, la maggior parte dei giochi ultimamente si muovono tutti sulla linea del souls-like, o del dark fantasy pixel art, che io trovo bellissimi e ne sono un gran fan, però non volevamo un gioco di questo tipo. Non volevamo un titolo super difficile dove affronti l’entità oscura o la divinità, noi volevamo dei nemici stupidi e semplici, una storia che si avvicina di più ad una narrativa urbana come quella di Rick e Morty, quella dei cartoni animati. Mantenendo sempre un gran rispetto e serietà per gli elementi portati nella scena.

Invece di uccidere Dio, volevamo una storia più urbana, con i personaggi umani che parlano in maniera più moderna, si mandano a fanculo, hanno esigenze reali e si muovono in un contesto realistico. Allo scrittore piace molto Tarantino, quindi ci sono influenze da quel lato relative ai dialoghi, ai personaggi. Abbiamo realizzato un metroidvania con tutti i crismi, però con questa verve moderna che abbiamo definito “Urban Tale”.

Chi è Stefano Guglielmana e qual è stato il suo percorso per iniziare a creare videogiochi? Di cosa ti sei occupato personalmente durante lo sviluppo?

Subcult Joint LTD nasce due anni fa, anche se lo sviluppo di Cookie Cutter parte molto prima, abbiamo alle spalle ben sei anni di sviluppo. Quattro di questi anni li ho passati creando il gioco con dei colleghi di lavoro, anche se poi l’entusiasmo si spegneva e mi ritrovavo costretto a reclutare nuove persone. Dopo 4 anni, avendo preso un programmatore a tempo pieno e avendo finalmente trovato il publisher, siamo riusciti ad uscire con Cookie Cutter a dicembre dell’anno scorso.

Io ho avuto il seme dell’idea e mi sono occupato di tutta la parte artistica del prototipo, in cui ci eravamo solamente io e un programmatore. Una volta avuto il contratto con il publisher, mi sono occupato meno della parte artistica, ma ho dovuto assumere il ruolo di direttore del progetto. Della programmazione se ne è occupato Francesco Bizzini, il quale ha lavorato a tempo pieno. Quel povero pazzo è stato l’unico programmatore per anni.

Quanti siete in totale nel team?

Al momento ci siamo sciolti, ai tempi della gloria eravamo circa 15 persone e adesso siamo rimasti, io, Francesco Bizzini come programmatore e Nicola Campo che fa musica e audio design. Gli altri li abbiamo congedati perché ovviamente, essendo indie, non hai la solidità per sostenere uno studio in modo continuativo. Soprattutto in questo periodo in cui il mercato è saturo di prodotti ed è difficile mantenere uno studio attivo con tutti i membri, anche perché ovviamente le idee non mancano mai, purtroppo però le risorse si.

A proposito di idee, com’è nato Cookie Cutter? Su cosa vi siete basati per lo stile?

Io ho sempre suonato Punk Rock, suonavamo in giro per l’Italia. Suonando mi sono accorto di queste ragazze definite “Rude Girls” che portavano il taglio Chelsea Cut (tipico delle skinheads) e queste tizie erano cazzutissime. Venivano ai concerti, avevano un’estetica nuova che a me piaceva molto. Io sono un dipendente Unity residente a Brighton e dovevo portare un progetto in cui presentare personaggio originale. Portai Cherry, ma fu bocciata.

Il progetto quindi nasce dal personaggio, avevo questo concept di lei scazzatissima, apatica, molto downbeat. Allora ho iniziato ad animarla, fare la corsa, il salto, primo calcio, secondo calcio, e ho iniziato a chiedere ai miei colleghi di Unity di montare una demo assieme. Più realizzavamo la demo più io continuavo ad animare, fino a quando non ho iniziato a pensare che forse sarebbe potuto diventare un gioco.

Al tempo stavo giocando Odin Sphere, un gioco della Vanillaware, disegnato completamente a mano. Quindi l’idea di realizzare qualcosa di fatto a mano in animazione 2D è nata da lì.

Avete mai pensato di utilizzare il 3D invece del 2D?

In realtà no, perché il bello del progetto era proprio che fosse tutto disegnato a mano, volevamo metterci in gioco con qualcosa di difficile. Non abbiamo utilizzato solo colori piatti, ma anche chiaroscuri, poi c’era la resa dei tatuaggi, dei capelli e tanto altro. Ogni frame conteneva minuscoli dettagli sempre diversi tra loro, è stata una sfida, ma è stata anche molto soddisfacente. L’animazione mi costava dalle 4 ore alle 40 ore, ma alla fine mi sono reso conto che la cosa mi divertiva. Vedere il personaggio muoversi, avere la sensazione di star guardando un cartoon, diede la certezza di voler fare tutto in 2D. Era divertente, stava venendo bene, quindi perché no.

Poi l’idea sai qual era? Dopo che abbiamo iniziato, volevamo qualcosa di simile ai videoclip di MTV degli anni 90, un’animazione cartoon grottesca e satura, e il tipo di lavoro che stavo facendo si prestava molto. Ma di una cosa eravamo sicuri tutti, la protagonista non sarebbe piaciuta a nessuno.

Dal canto mio, l’ho trovata bellissima. Non è la classica protagonista e sicuramente questo la rende ancora più interessante. Ha uno stile decisamente unico.

Grazie Elisa, è una bella cosa, siamo pochi ma buoni!

Volevo complimentarmi anche per l’animazione iniziale di Cherry, che non sto qui a spiegare per non fare spoiler.

Ti ringrazio. L’animazione iniziale in realtà è nata per due motivi. Il primo è grazie al mio scrittore preferito, Neil Gaiman, il quale diceva che il trucco più grande che puoi usare nella narrativa è che se vuoi far empatizzare i lettori con il tuo personaggio, lo devi trattare male. Deve ricevere un’ingiustizia. Noi volevamo creare una storia basata sulla vendetta, anche perché ci piace Tarantino. Volevamo fare in modo che fosse quella la sensazione provata dal giocatore, la voglia di vendetta. L’ingiustizia proviene anche dal secondo motivo, un’altra opera su cui mi sono basato, ovvero il Corvo di James O’Barr che per me è stato atroce.

Io sono un amante del concetto di amore, e per me una delle cose più brutte che può succedere è proprio perderlo, specialmente in certi frangenti, come quello che succede nel fumetto e poi nel film dell’opera (nel primo molto più brutalmente del secondo). Dovevamo riuscire a innescare nel giocatore l’idea di vendetta, quindi abbiamo deciso di far succedere qualcosa di veramente brutto a queste due donne innamorate, per poi costruire questo crescendo che porta alla fine, dove poi scopri, che forse, ottieni vendetta. 

Quindi il gioco porta ad un finale completo? O quei due terzi di trama non detta lo hanno inficiato?

Il gioco finisce, la storia si conclude, solo che poi arrivando al finale ci si chiede se sia veramente finita. C’è una conclusione che si rifà all’introduzione, però poi c’è di più. E c’è stato sin dall’inizio, ma per esigenza lo abbiamo dovuto tagliare fuori.

Prima mi hai detto che è un peccato quando queste informazioni vengono scartate, ma alla fine della fiera ti rendi conto che quando fai videogiochi non è tanto quello che vuoi fare, ma quello che puoi fare. Perché hai tempo, budget limitati, un team da gestire, quindi devi fare il meglio che puoi con quello che hai.

Pensare di fare una storia e di avere dietro il budget di Tarantino è facile, ma poi quando ti trovi a muoverti con i mezzi che hai, e allora si deve togliere qualcosa. Ma non è un peccato, è interessante invece. In primis perché ti alleni a scrivere una storia efficiente, è un esercizio di stile. Siamo creatori di giochi indie, Cookie Cutter ci ha insegnato tantissime cose; se oggi potessi tornare indietro con la conoscenza di ora riuscirei a fare tutto. Ci ha insegnato come scrivere, come pensare al game design e al gameplay. Quindi ci sta dover mettere da parte qualcosa, anzi, ho talmente tanta roba pronta che se dovessimo continuare il progetto potremmo partire a razzo.

Se sei un bravo scrittore devi riuscire ad andare sui sentimenti, non ha senso costruire qualcosa di enorme con una storia articolata che poi non ti da niente. Preferisco colpire dove fa male e ottenere una reazione, se ci riesco vuol dire che quella storia è efficace. 

Molti pensano in maniera superficiale che Cookie Cutter sia un insieme di battute stupide, cazzi e vagine parlanti, perché a me piace questa estetica, è interessante, anche Rick e Morty e così – senza fare paragoni ovviamente. Però in realtà è tutto molto serio, anche se ci sono elementi bizzarri non è detto che debbano essere superficiali; sono elementi mescolati assieme per cercare una forma nuova di esposizione, trovando nella nostra bizzarria un punto di forza, sempre in modo totalmente rispettoso e studiato.

A proposito di questo, vi hanno dato limiti essendo sotto un publisher riguardo magari il linguaggio troppo eccessivo o cose da evitare totalmente? 

No, zero. Ho fatto tantissimi colloqui con i publisher, tanto che ad un certo punto siamo arrivati anche a Konami. Ho avuto diverse call con più divisioni dell’azienda, e mi hanno detto che era la prima volta che un gioco indie arrivava addirittura in tre dei loro uffici, anche se alla fine il publisher giapponese lo ha buttato giù. Comunque, molti dei publisher con cui ho parlato storcevano il naso, volevano cambiare questo e quello, e li ho scartati tutti. Quando alla fine ho trovato Rogue ho capito che erano in partner perfetti, volevano il gioco brutale, stupido, violento, pieno di amore, bizzarro, come lo stavamo facendo, senza cambiare nulla. Mi sono sentito subito a mio agio con loro, hanno spinto il prodotto così com’era senza cambiare una virgola. 

Anzi questa è una cosa che vorrei dire a tutti, molto spesso si demonizza l’idea del publisher, ma in realtà il publisher è un partner. Quando ci si interfaccia con un partner si parla di fare business, anche se magari noi amiamo più essere artisti, essendo creatori di videogiochi. Ma è una cosa che si deve fare, deve esserci anche la parte di business; fare business significa anche avere un buon publisher e fare affari che facciano bene ad entrambi. Specialmente poi se si tratta di un publisher come il nostro che ci ha portato su IGN, ci ha dato tanta visibilità che altrimenti da soli non avremmo mai potuto ottenere.

Inizialmente come vi siete pubblicizzati? Prima di affidarvi ad un partner

Io ho messo sui social ogni singola cosa dal giorno uno fino alla fine. Al tempo ero molto più attivo su facebook, ci sono sei anni documentati giorno per giorno dalla prima animazione. Ho iniziato a condividere inizialmente nei gruppi di animazione, perché il gioco era solo animazione, attirando piano piano sempre più gente. Poi ho aperto Twitter e Instagram e attualmente su X siamo diecimila, c’è stato un diverso passaparola. Tutto è nato dai social e dal mostrare ogni singola cosa, a parte la boss-fight finale (ad una certa ho mostrato anche quella). Questo perché al giorno d’oggi ci sono così tanti giochi che per tenere le persone interessate a quello che sto facendo bisogna aggiornarle costantemente e ricordare che si sta lavorando a qualcosa.

Strano infatti che sia così poco conosciuto in Italia come gioco, secondo voi come mai?

Non so, la società è inglese, tecnicamente non è fatto in Italia. Il gioco è stato fatto in Inghilterra, ma hanno partecipato persone remotamente da tutto il mondo, dalla Mongolia, dal Canada, dalla Scozia. Però in Italia abbiamo venduto pochissime copie, ha avuto più successo all’estero. Il che un po’ mi dispiace un po’ mi inorgoglisce, non penso che il gioco abbia nessun tipo di impronta di nessuna nazionalità. Si tratta di una storia sci-fi che non ha alcun tipo di influenza culturale e politica esplicita. 

L’industria italiana sicuramente è un po’ più piccola, ma in realtà è piuttosto viva. Ci sono eventi come lo Svilupparty a Bologna, il First Playable o anche la Milan Games Week che permettono agli sviluppatori di avere un po’ di visibilità in più. Voi non avete mai partecipato a nessuna di queste?

No purtroppo no, essendo principalmente stanziati all’estero non abbiamo mai cercato, e un po’ forse è anche per questo. Poi anche il publisher è californiano, quindi ci hanno mandato al Pax West, in molti altri eventi in giro per il mondo, ma non in Italia. Ad un certo punto dovevamo andare al Romics, però non era nulla di dedicato allo sviluppo, era un altro tipo di evento al tempo, quindi ha avuto molto poco riscontro. 

Come mai avete deciso di far uscire la versione per Nintendo Switch dopo rispetto alle altre?

Doveva uscire inizialmente per tutto da subito, ma arrivati alla fine, con un team di 15 persone era veramente difficile tirare fuori un gioco che uscisse su tutte le console. Quindi abbiamo scelto di dare precedenza alle console di nuova generazione e al PC, e solo poi di pubblicare la versione PS4, Xbox One e Nintendo Switch. Anche perché essendo PS4 e Xbox One della generazione precedente, ed essendo Nintendo Switch non totalmente performante, il gioco aveva bisogno di un processo in più di ottimizzazione per essere fluido come per le altre piattaforme. 

Noi abbiamo fatto un pessimo lavoro quando è uscito, perché non ottimizzare bene, inizialmente era pesantissimo. Adesso che abbiamo fatto il porting per queste altre console, abbiamo sistemato anche le altre versioni e le aggiorneremo gratuitamente. Ho preso questo tempo tra le prime tre console e le altre anche per aggiungere novità al gioco, easter egg e molto altro. Tra l’altro ora che esce su Nintento Switch avrà tutti i dialoghi doppiati, abbiamo fatto dei casting, la resa è veramente bellissima visto che noi ci siamo voluti concentrare principalmente sulla parte narrativa. Sono contentissimo del risultato.

Cookie Cutter

É stato difficile gestire un team di 15 persone sparse in tutto il mondo?

Sì, è stato orribile. Il problema nel gestire Cookie Cutter è stato probabilmente causato dal fatto che io ero un impiegato a tempo pieno da Unity e a SUBCULT. Inoltre c’erano cose che non avevo mai fatto, come dirigere un team, quindi ho dovuto barcamenarmi in qualche modo. Ho imparato da questa esperienza, ma mi è costata tanto; ho lavorato per 2 anni e mezzo 15 ore al giorno 7 giorni su 7, e ho chiuso il progetto con un fortissimo esaurimento nervoso e 9 mesi di farmaci. Però sono contento, perché il progetto è riuscito ed è uscito come lo avevo in mente, con la percezione che volevo avesse, andando anche oltre le mie più rosee aspettative. Metracritic di 8, anche Reggie ci fece un retweet, è stato tradotto in 7 lingue, quindi vedere poi il risultato è stato a dir poco emozionante. 

Il processo però è stato difficilissimo, proprio a livello umano. Abbiamo dato tutto, ho cercato di evitare per quanto possibile che il team si ritrovasse costretto a fare grinding, ma non l’ho evitato per me. Compensavo la mia impreparazione lavorando di più, e alla fine ho pagato un po’ il prezzo di questa cosa. Però mi è servito, perché quando riprenderò a farla di nuovo sarò ovviamente molto più preparato. Quando finivo la mia giornata lavorativa dovevo ricominciare a lavorare perché gli americani si svegliavano a quell’ora.

Una cosa che poi è magari meno nota è che tu quando assumi un talento non assumi solo quello, assumi anche il suo carattere. Quindi devi rapportarti con persone totalmente diverse, ed è qualcosa che ti porta a ridimensionare il tuo ego perché devi riuscire a mettere tutti a loro agio per non impazzire. C’è tanto lavoro quando ci si deve rapportare ad un team. Più sei al vertice delle cose più è facile per te fare in modo che la loro esperienza sia orripilante, basta essere quel minimo egocentrici. Quindi ti ritrovi a chiederti, rispetto alle mie esperienze passate lavorando sotto persone così, voglio essere anch’io quel tipo di persona per le persone che lavorano con me? 

Allora cerchi di imparare da chi ha sbagliato con te in passato, cercando di non fare gli errori che hanno fatto loro. Però ci vuole davvero tanta pazienza, e io vengo da un percorso da artista, dove sono quasi sempre completamente solo, quindi non avevo la predisposizione per essere così aperto e coordinato con un team.

Ci sono aneddoti particolari che ti ricordi del processo di sviluppo? Qualcosa che ti è rimasto impresso

Ogni singolo sbaglio fatto mi è servito da lezione. Io sono piuttosto iperattivo, di natura, e mi piace molto comunicare l’energia alle persone con cui lavoro, è una cosa che mi viene naturale. Però mi sono reso conto che, quelle poche volte che magari ero veramente abbattuto dopo poco tutto il team prendeva la mia energia negativa. Mi resi conto, come mi disse uno dei direttori di Unity, di essere come una nuvola quando si coordinano delle persone, porti a loro il tuo umore, bisogna sempre fare attenzione a quello che si comunica. Ricordo una volta in cui ero molto particolarmente agitato e bestemmiavo in continuazione, poco dopo mi sono accorto che tutto il team aveva iniziato a bestemmiare seguendomi a ruota.

Avete qualche progetto per il futuro? Avete intenzione di proseguire con Cookie Cutter introducendo magari dei DLC, degli aggiornamenti, dei sequel? O avete in mente progetti totalmente nuovi?

Io vorrei continuare Cookie Cutter, però dipende da come vanno le cose anche su Switch. Progetti nuovi ne ho a bizzeffe, c’è n’é uno molto particolare che mi piacerebbe portare ed è una specie di avventura grafica narrativa con all’interno una meccanica X-COM. Questo mi piacerebbe tanto che fosse il prossimo progetto su cui mettere le mani, ma intanto voglio vedere come viene recepito Cookie Cutter ora che esce su queste tre console. Se viene recepito con l’interesse che ha ricevuto al primo lancio c’è un’alta probabilità che a questo punto andiamo avanti, perché abbiamo ancora tantissime cose da dire e voglia di farle. Nel mentre sto lavorando a molte cose collaterali del progetto che sto postando sui social. 

Non mi piacerebbe portare un Cookie Cutter 2 o dei normali DLC, mi piacerebbe continuare la storia con degli aggiornamenti trimestrarli, non so, dove magari si aggiungono pezzi di storia, nuove armi, nuove zone, boss fight e continuo a portare fuori il prodotto come fosse un fumetto che esce in edicola. Se si è interessati si continua a seguire, ma qui sto proprio ipotizzando, magari non si può fare, ma è quello che mi piacerebbe. Continuerei con gli aggiornamenti finché il gioco è talmente tanto grande che quando esce in copia fisica è il primo indie che esce con 3 dischi. 

A proposito di fumetti, avete magari pensato a qualcosa di collaterale al videogioco? Renderlo un prodotto cross-mediale

Considera che io nasco come fumettista, quindi si potrebbe fare, però no, preferisco fare videogiochi, mi danno molta più soddisfazione. Per quanto sia più frustrante e impegnativo, è molto più divertente, il poter giocare la storia e avere delle scelte, nei limiti di un piccolo studio che non ti può dare mille bivi come Baldur’s Gate. Poter controllare le azioni del protagonista è più divertente che leggerle, per quanto mi piaccia, ma questo mi piace di più. Quindi no, vorrei continuare con il videogioco. Ovvio, se domani viene Netflix a chiedermi se può farci sopra non gli dico certo di no.

Su quali console esce oltre Nintendo Switch? 

Anche PS4 e Xbox One. Tra poco dovrebbe uscire anche Nintendo Switch 2, se dovesse uscire tra poco sarebbe figo buttarlo come titolo di lancio. In più abbiamo anche in ballo per un’edizione in copia fisica del gioco PS5 e Switch. E sto spingendo tantissimo per fare un’edizione di carta con dentro poster, dell’arte solida, perché il gioco è molto art-oriented, la versione fisica ha bisogno dell’arte dentro. Come per i dischi punk-rock che avevano all’interno un poster da srotolare con dietro tutti i testi, mi piacerebbe fare qualcosa di simile con dietro tipo la mappa, non so, qualcosa di tangibile e fisico. Un po’ come quelle special edition con dentro manuali, adesivi, io la vorrei così, però al momento è tutto più un brain storming. Ma sono quasi sicuro che una copia fisica ci sarà.

Cookie Cutter

Io una statuina di Cherry la vorrei 

Sarebbe bellissima, già me la immagino, con la motosega in spalla, un po’ rottina, l’intestino di fuori come sempre. Se la fanno posso morire in pace, poi mi ritiro in campagna perché ogni mio sogno è stato esaudito.

Riguardo il progetto che hai in mente puoi dire qualcosa o deve rimanere segreto?

Ancora è presto, è basato su una storia vera di una persona che conosco a cui è successo una cosa incredibile che mi ha scioccato tantissimo. Si basa sulle sette di estremisti religiosi in cui tutti gli adepti hanno a capo un santone che si dice figlio di dio e si fa pagare. Purtroppo questa è una cosa che c’è ancora in tutto il mondo e va anche abbastanza forte. La storia è di questo eroe moderno italiano e il nemico finale sono appunto queste persone. Come genere è un X-COM, ma anche un’avventura grafica dove gestisci la vita di questo ragazzo in un momento molto particolare, conosci le vicende che lo porteranno all’interno della storia. Ci sarà moltissima narrativa e outcome finali. Mi piacerebbe portarla in futuro, anche perché è un tema molto particolare quello dei santoni religiosi, delle sette.

Parlando di sette non ho potuto non pensare a Cult of The Lamb, anche se è di tutt’altra tipologia, però il tema alla fine è quello. Ci sono giochi indie a cui vi siete ispirati? Sei un appassionato di giochi indie?

Ci siamo ispirati a tantissima roba degli anni 90, io ho quasi 40 anni quindi quelli erano gli anni in cui suonavo punk-rock e avevo più stimoli visivi. Quindi tutti i fumetti della mia infanzia, Il destino di Kagugo, Fortified School, anche molta musica degli anni 90. Ad esempio i Prodigy o il Nu Metal come i Mudvayne, i Kom, gli Slipknot. Per come la vedo io, se sei un artista, l’idea non è copiare il gioco di riferimento, ma portarlo dentro, miscelarlo con i tuoi filtri interni e poi tirarlo fuori in modo che abbia quell’odore.

Per quanto riguarda i giochi, Final Fantasy 7 è il mio gioco preferito in assoluto. Secondo me però il nucleo di tutto e Blame, tanto che la Megastruttura del gioco l’ho presa da lì. Questa struttura non si può esplorare perché continua a generarsi ed evolversi. Il protagonista si muove in questa struttura tetra, bellissima e da piccolo mi fece impazzire questa cosa. Quindi si l’idea del gioco era il fare una versione cartoon di Blame, quello era il seme, poi è arrivato Tarantino, Rick e Morty, influenze musicali, visive, e poi è diventato quello che è.

Per che cosa sta effettivamente il nome Cookie Cutter però? Si tratta dello stampo per i biscotti e in questo caso rappresenta qualcosa di monotono, fare le cose in sequenza, con mancanza di originalità. Per Stefano e il resto del team è fondamentale fare le cose in maniera originale, anticonformista, andando contro quella tendenza a standardizzarsi che molti artisti adottano come metodo per emergere.

Per chiunque volesse seguire il progetto di Cookie Cutter, Stefano è molto attivo sul profilo X ufficiale del gioco. La versione Nintendo Switch al momento non ha ancora una data di uscita perché il team si trova nelle fasi finali di test, però il tempo stimato è di circa un paio di mesi.

Infine, rimando a due video molto interessanti che trattano Cookie cutter, la sua storia e le sue animazioni: